dal romanzo "Vorrei chiamarti mamma"


«Il mio matrimonio? Va bene…»

(Il mio matrimonio… va quasi bene, tranne quei giorni quando Renato torna dalle sue trasferte di lavoro: entra in casa, posa le sue valige, mi scarica la sua roba sporca, si cambia e va a trovare la sua famiglia che vive a cinquanta chilometri da casa nostra. A volte vado anch’io, partecipo alla grande tavolata per sentirlo raccontare quanto gli indiani sono fessi perché credono soltanto in un cocco spaccato come benedizione e si arrabbia: “…ma se la macchina non la riparo io – puoi spaccare tutti cocchi che vuoi, la macchina (un cazzo!) si metterà in moto.” E poi, sotto un “ha-ha-ha” uniforme, racconta come sono stupide le ragazze che riesce a portarsi a letto e che quelle sono dappertutto uguali: tutte vogliono venire a letto con un italiano. Di solito faccio finta di non aver capito l'italiano e mi nascondo sotto la risata spregiudicata di sua madre.)

«Il mio matrimonio? Non può che andare bene, perché da quando abbiamo comprato il nostro piccolo appartamentino a Milano… diciamo, alla fine di viale Monza… diciamo, a Sesto San Giovanni, la mia vita non è più come prima. I nostri vicini sono tutti i lombardi o veneti. E, a questo punto, nonostante sono atea, mi faccio il segno della croce perché almeno un problema del mio marito è stato superato: nel nostro palazzo, nonostante la zona, stranamente, non ci sono i terroni. Chi sono i terroni? Sono quelli che danno fastidio a mio marito, sono sempre italiani, e, per spiegarti meglio… tu ricordi quel georgiano che abitava nel nostro palazzo in affitto e vendeva la frutta secca al mercato e tu parlavi sempre male di lui perché lui speculava su di noi, andava in giro con il coltello in tasca, beveva molto e faceva casino con le donne? Non è la stessa cosa, ma tu dicevi che i georgiani sono diversi da noi e lo disprezzavi. Ecco, lo stesso disprezzo prova mio marito verso la gente del Sud, ma per tutt’altri motivi. Perciò, non sto più chiusa nella mia stanza per paura di uscire e trovare la porta del bagno spalancata dove, con i pantaloni tirati giù, trovavo sempre o suo padre, o suo fratello… (Sai, mamma, in Italia si condivide tutto, anche il dolore dello spingere per far uscire la parte del corpo che si deve evacuare.) Ora esco. Anzì, scendo… come si dice qua. E poi, mi sembra di essere a casa nostra: sotto il mio appartamento c’è un circolo di comunisti… ho notato all'ingresso un cartello con la falce e martello, ed ogni volta, quando passo davanti, mi salutano a modo loro, con “Questa gnocca è una delle nostre!” Non mi chiedere che significa la parola ‘gnocca’. Centra poco con il cibo.»


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