Sembra un fatto quasi scontato che la poesia e i ragazzi vivano su
due pianeti diversi. Sembra. E non so se questo sia un fatto solo
italiano, ma in Italia si sente spesso
dire che i versi di Montale o i sonetti
di Petrarca, non vengono capiti dai ragazzi che li sentono
lontani dalla loro quotidianità. Lo era ugualmente per me, che vengo
dall'Ucraina, anche se gira la leggenda
metropolitana che nella ex-Unione Sovietica
le cose stavano diversamente. Da come lo ricordo io, la poesia imposta, che dovevamo studiare e imparare a
memoria, era bella ma noiosa, poco
interessante e molto spesso politicizzata. L'unico ‘divertimento’ si nascondeva
nella rima ben pronunciata, tipica della poesia ucraina e russa. Però, anche da
noi a volte succedeva che qualche insegnante si ‘distraeva’ e ci faceva
conoscere i poeti fuori dal programma che ancora fino ad oggi occupano nella mia memoria uno
spazio speciale.
A
questo proposito, non si può che essere
d’accordo con Roberto Cescon,
insegnante e poeta pordenonese, che sollecitato da me, ha scritto questa cosa: “I ragazzi
a scuola fanno esperienza della poesia dei secoli passati, secondo un impianto
diacronico e antologico. Se sono fortunati, i loro insegnanti fanno incontrare
loro la poesia oltre l’armamentario strutturalista e allo stesso tempo educando
l’arbitrarietà della loro interpretazione. È un lavoro lungo che non sempre
produce risultati”. E dopo, praticamente conferma la mia convinzione che “i ragazzi
sono naturalmente portati alla poesia perché si stanno scoprendo, anche se il
loro immaginario è intossicato dal proliferare delle immagini; però la cercano
in altre esperienze artistiche, apparentemente più semplici, come ad esempio la
musica. I ragazzi scrivono poesie che spesso si fermano a pensieri che vanno a
capo, per trovare sollievo dai loro dolori; più difficile è farli misurare con
il ritmo e la coscienza della lingua, la quale è qualcosa che viene prima di
loro e attraversa le generazioni per riattraversare ciò che muove l’uomo nel suo
tempo.”
Proprio
così, all’età di 14 anni, io e i miei coetanei ci innamorammo della poesia di
Marina Cvietaeva che fino ad allora era poco conosciuta tranne qualche verso
selezionato dal regime: negli anni ’80
usci un famoso film sovietico,
"Ирония судьбы” /
“La
ironia del destino” ed alcune canzoni della colonna sonora diventarono le più
ascoltate di quel decennio e sono ricordate e cantate ancora adesso. Senza
parlare del ribelle (e boicottato dal regime) cantautore Vladimir Visozkij che
conquistò una vasta parte del popolo sovietico con canzoni per le quali nel 1993 gli venne assegnato
il Premio Tenco (prima volta per un artista non più in
vita).
E
qua mi
viene una domanda spontanea, e cioè.. se esiste una formula magica per
insegnare in maniera giusta la poesia ai ragazzi?
“Sentire
che li riguarda. Che riguarda le loro stesse emozioni, i loro sentimenti, le
loro aspettative, le loro fragilità e contraddizioni. Sentire che parla anche
di loro. É di questo che hanno bisogno, i ragazzi, nel loro primo approccio
alla poesia” spiega Antonella Sbuelz, poetessa ed
insegnante di letteratura, “è questa la grande sfida della letteratura:
l’evasione - almeno provvisoria - dall’unicità a cui siamo destinati. Siamo
imprigionati in un corpo unico, collocati in un tempo unico e determinato”. Ma
la buona letteratura – e la buona poesia – ci permettono di uscire
temporaneamente dalla nostra unicità e di riconoscerci nelle emozioni, nelle
storie e nei destini degli altri, evocati da un verso o dalla pagina di un
romanzo. La buona letteratura – e la
buona poesia – riguardano innanzitutto questo: la possibilità di sperimentare
l’empatia più profonda, di farci molteplicità e pluralità, di riconoscere
l’universale che agisce nel nostro individuale. I ragazzi lo sentono,
accostandosi alla poesia. Sentono che la sofferenza potente di Leopardi è anche
la loro potente sofferenza, che l’ironia, l’arguzia o il paradosso tratteggiati
dalla Szimborska sono anche l’ironia, l’arguzia o il paradosso della vita di un
sedicenne del 2017”. Anche se, nella mia esperienza personale ho trovato la
reazione alla poesia ironica meno spontanea, più ragionata e controllata. Ma la
questione sta tutta nell’ironia; se è cinica piace meno, se è addolcita dalla
semplicità e dalla grazia, è più compresa.
“Per
permettere” dice
Antonella, “a
un sedicenne o un diciottenne di riconoscersi in un testo poetico bisogna
offrirgli la possibilità di avvicinarsi alla poesia entro uno spazio di
gratuità e libertà assoluti. E spiazzanti. Senza pretendere analisi
iperstrutturate, che trasformano un verso, un’immagine o una figura retorica
nell’insetto sotto vetro studiato da un entomologo.
Niente apparati
tecnico-formali. Nessuna vivisezione del corpo poetico. Rinuncia all’approccio
accademico nel nome di significato e significante, di figure di senso e di
suono. Quel genere di analisi verrà, ma dopo. E verrà (anche) per germinazione
spontanea di curiosità intellettuale solo se la poesia avrà prima shakerato le
emozioni, messo in subbuglio la pancia, parlato ai neuroni specchio, immesso in
circolo sentimenti che sono di tutti. Solo se prima la poesia avrà saputo
stupire per la sua potenza evocativa o per il suo scavo interiore.
Altrimenti resterà, per
molti, il ricordo di appunti presi a margine di una pagina, fra uno sbadiglio e
l’altro: solo costrizione, estraneità e noia”.
Più o meno dello
stesso parere anche Stefano Bulfone,
insegnante e poeta:
"Avvicinare bambini e
ragazzini alla poesia significa entusiasmarli e incuriosirli rispetto alla
musicalità, al ritmo e alla libertà sintattica che questa tipologia letteraria
può offrire, ma anche avvicinarli al gioco combinatorio dato dalle regole
metriche; questo per aprire la mente alla sensibilità rispetto all'uso della
lingua sia scritta che parlata. Risulta evidente che ciò è possibile tramite
una dimensione sia ludica che comica, nelle prime fasi di incontro coi versi.
Col proseguire degli studi spesso l'approccio scolastico tradizionale allontana
i ragazzi dalla poesia, spegnendo potenziali lettori e/o stimatori".
Poi, naturalmente, su questo argomento si può anche scherzare,
come mi è successo con Maria Grazie
Calandrone (poetessa, scrittrice, drammaturga, autrice e conduttrice per Rai Radio3 italiana) in un scambio di post su Facebook. Lei:
–
…domattina Radio3 ore 6… con Pin Pidì, diamo il nostro augurio di buon viaggio
ai bambini che stanno per cominciare o ricominciare l'avventura scolastica…
accompagniamoli con la poesia, parliamo loro di un altro mondo possibile.
Le ho chiesto ironicamente:
- A
proposito dei ragazzi che tornano a scuola e la poesia: hanno bisogno di
sentirla o sprechiamo il fiato?
Lei:
–
Secondo me fanno solo finta di non capire, ma in realtà si abbeverano, fingendo
indifferenza…
Bella risposta.
Sandro Pecchiari, ex preside e poeta di Trieste, precisa: “Ricordo uno studente della terza media, dove
non si parla mai insufficientemente di poesia, che mi ha stupito con questa
frase: la poesia usa le strategie più
adatte e efficaci per raccontare il sogno della vita.” E quando chiedo a Sandro se per caso
quel ragazzo è diventato un poeta, risponde: “Purtroppo di lui sono perse le tracce. Ma ne ho altri che invece
scrivono romanzi e saggi di psicologia ma non poesia”.
Ma esiste una età giusta,
per cominciare con la poesia?
Non
credo, ma vorrei solo accennare ai bambini-prodigio come lo erano H.P
Lovecraft, che componeva lunghi poemi all’età di 5 anni o Nika Turbina che
iniziò nella stessa età e arrivò a ricevere a soli undici anni un premio
prestigioso di Poesia in occasione del
festival internazionale di poesia “Poeti e pianeta Terra” tenutosi in Italia
nel maggio del 1985. Però questi sono
casi rari.
Nel quotidiano, invece, come si comportano i bambini sicuramente
lontani dall’idea sovietica di “Vi
faccio vedere chi sono io”?
Le
idee me le chiarisce Antonella
Bukovaz, poetessa ed insegnante: “Mi è capitato
di lavorare alla realizzazione di uno spettacolo teatrale con una ventina di
alunni di terza elementare, 8/9 anni. Tra gli obiettivi, quello di imparare a
memoria un testo di poesia fortemente ritmato, tipo rap, e rappresentarlo.
Obiettivo facilmente raggiunto! I bambini non solo si sono divertiti ma sia
durante il lavoro con il corpo sia nei momenti di riflessione linguistica,
hanno dimostrato di seguire e capire il senso del testo, afferrandone l'ironia
e le allusioni. La vera magia però è partita dopo. A scuola, durante le pause,
un gruppo si dedica alla scrittura di un testo rimato e ritmato e alla
costruzione di una coreografia per la quale prepara anche semplici strumenti di
percussione. Quando mi sottopongono il testo,
aggiustiamo insieme un paio di passaggi che hanno un ritmo che non funziona.
Lavoro molto interessante. Il corpo aiuta. Il momento in cui mi invitano ad
assistere alla rappresentazione è stato uno dei più belli dell'anno
scolastico”.
Anche
Margherita Breggia
(assistente didattica con una lunga esperienza tra i banconi di una libreria)
conferma che secondo lei il modo migliore per far appassionare gli studenti
alla poesia è attualizzarne i testi cercando i punti in comune con
gli interessi dei ragazzi. Secondo lei, gli insegnanti delle scuole superiori
hanno un programma da seguire e devono parlare di tutto in poco tempo, perciò
sarebbe meglio accennare solo certi autori e concentrarsi su altri che trattano
temi attuali. O invogliare i ragazzi a cercare delle somiglianze con i moderni
poeti: i cantanti e i cantautori. “La
poesia è legata a quella dimensione fonica e ritmica” spiega Margherita, “i professori dovrebbero sfruttare il mondo
della musica, il rap e l’hip hop ad esempio: sono ottimi per spiegare la
metrica”. (fonte:
https://www.manabu.it/it/blog/lesperto-risponde/2016/03/come-appassionare-alla-poesia-gli-studenti/)
Un
pensiero interessante e fiducioso mi è arrivato da Francesco Di Lorenzo, docente di italiano e lettore/cultore
di poesia, che anche grazie alla sua
esperienza a contatto con gli studenti, mi dice che “sempre di più la poesia sarà per forze di cose più democratica, sarà,
come avviene già oggi con la rete, più vicina ai ragazzi, che avranno ampie
possibilità sia di scriverla che di pubblicizzarla e ascoltarla, in
luoghi, forme e colori multipli e
plurali. La poesia fa parte delle cose belle della vita e soprattutto la poesia
dà piacere, crea benessere, per chi l’ascolta e per chi la scrive. E questo è
un bel modo per affrontare il futuro che è di tutti, ma principalmente dei
ragazzi”.
Per
finire, confido, che mi mancava un passaggio sul ‘Poetry Slam’, dove la
partecipazione giovanile è molto più numerosa, e così, in modo quasi subdolo,
di nascosto, ho cercato di estorcere una
minima informazione a Christian
Sinicco, creatore di LIPS - Lega Italiana Poetry Slam, al quale è
capitato di organizzare uno slam per i ragazzi. Gli scrivo su FB e mi risponde
in modo laconico che “ci siamo divertiti”
e quando capisce che sotto sotto lo sto intervistando, mi fa notare che lui non
è una persona giusta per parlare sull’argomento. E così la mia domanda “Come vedono i Poetry Slam i
ragazzi” rimane senza risposta.
(Il
fatto sta, che uno dei suoi vincitori, un ragazzo oggi diciassettenne, alla mia
proposta di partecipare ad un reading poetico, dovette passare il telefono a
suo padre, che in modo esplicito mi fece
capire che suo figlio aveva vinto la
gara di poesia per caso, ma che nel suo futuro c’era solo il calcio. Il che
significava che i reading poetici non lo interessavano. Ma me lo disse il
padre. Non il ragazzo. Il dubbio persiste).
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