Brevi considerazioni:
Quando qualche anno fa lessi per la prima volta Natalia ne
rimasi estremamente affascinata. La sua scrittura possiede quelle
caratteristiche che scatenano la mia curiosità e di conseguenza mi fanno
apprezzare ed innamorare perdutamente della poesia.
Una di queste è la potenza espressiva, intesa come vero e
proprio pugno in faccia, calcio agli stinchi, quella lettura che incide o
quantomeno provoca lividi; quella che non puoi dimenticare e che ti risuona
dentro quasi e più di un’emozione tua.
Una forza dunque, quasi coraggio pienamente percepibile in
questo incipit memorabile:
Potrei prenderti così, come ti
ho trovato,
sporco di pallonate prese in
pieno petto,
lavarti e centrifugarti per
bene, stendendoti
E poi:
O come un semplice grigio
zerbino peloso.
Toccarti con le suole conforta
le idee,
spillarti coi tacchi è un
anticipo per i torti futuri
ove l’autrice sembra dar sfogo ad una sorta di
frustrazione insita nel desiderio di avere.
Una passione sensuale e totalmente femminile, una poesia
cruda e senza fronzoli che sa toccare le corde dell’anima.
Le parole s’affollano sulla carta e nella mente, i dubbi
varcano ogni movenza e quello che poteva essere, il non-stato, non accaduto
provoca stati d’ansia, veri e propri attacchi di panico.
così, prima di fare la guerra
alla mia notte di sempre,
alla mia notte insonne
scriverò lettere a qualcuno non
più in vita
senza mai spedirle,
confiderò a me stessa
l’inutilità del dolore
e le finestre ad Est, chi sa perché,
terrò sempre aperte.
Chi possiede il dono del pensiero ha notti insonni davanti
a sé, perché chi riflette, difficilmente accetta l’esito dei giorni turbolenti;
le cose fatte e non fatte plasmano quello che siamo con tutte le piccole paure,
con tutte quelle rughe che ci hanno reso grandi davanti agli altri e deboli
allo specchio. Perché il dolore è più un patto con noi stessi, che una
condizione inflitta e lacerarsi diventa quasi routine, ma la speranza è
un fiore che nasconde sempre le sue radici.
Ogni testo ha cento storie dietro sé, tanti discorsi
aperti, iniziati da un bel po’, nella mente, nel cuore, negli occhi come film
già visti, architetture inventate, amori esplorati e persi, vinti. Ogni passo
avanti diventa penitenza da espiare nei secoli bui della memoria.
Non mi guarderai con gli occhi
di prima,
ma mi toccherai con le mani di
sempre,
sistemando in ogni angolo del
nostro passato
i tuoi sospiri
e i miei pentimenti.
Si può affermare che N. colloquia con i versi e la sua è
una calma invidiabile e allo stesso tempo spiazzante e devastante; come una
vera artista purifica la parola, la amplifica, nella sua estrema
semplicità. Si tratta di una poetica moderna che sa spogliarsi di ogni
arcaismo, di ogni enfasi che finirebbe per appesantire un racconto
dalle ambizioni piuttosto chiare: c’è chi della poesia fa un esercizio
stilistico, chi scrive per gli altri, chi racchiude fra le righe una qualche
lezione di vita, chi usa la penna per sfogarsi, chi affida ad una serie
di sillabe quelle emozioni, ricordi, sensazioni che altrimenti resterebbero
chiuse in qualche stanza della mente.
Le reminescenze si mescolano così a giorni recentemente
vissuti e le descrizioni reali e minuziose dei fatti ci riportano ogni
impressione, ogni sospiro che ha trovato spazio all’uscita.
Soltanto le gocciole con il
tam-tam perfido,
chiassoso come mai,
con poche parole confortanti,
l’adulatore senza tregua,
e l’usignolo scappato dalla
gabbia,
non trovando più pace
sempre pronto a commettere
iniquità con il mio cuore
perché ci sono periodi in cui la noia, lo sdegno, la
diffidenza, la delusione, l’indecisione si fanno massi insormontabili e “piovere
di rabbia guardando il calendario” diventa atto dovuto ad una esistenza che
ha fin “troppi giorni in un mese” e “le assenze cresciute come
grattacieli” sono palafitte contro la pioggia.
La rassegnazione è un po’ il leit motiv che sembra
attraversare questi testi e l’autrice in una ironia quasi triste ammette che:
dunque,
non sapresti leggermi più di
una pagina,
figuriamoci tra le righe.
Figuriamoci
i sottotitoli. Figuriamoci fino
alla fine.
Non potresti mai essere una
disgrazia o
Una coincidenza. Soltanto un
innocuo tormento.
Come sempre.
Come legittima sopportazione ad un
fastidio che non può altro che sussistere.
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