Francesca Coppola


Brevi considerazioni:
Quando qualche anno fa lessi per la prima volta Natalia ne rimasi estremamente affascinata. La sua scrittura  possiede quelle caratteristiche che scatenano la mia curiosità e di conseguenza mi fanno apprezzare ed innamorare perdutamente della poesia.
Una di queste è la potenza espressiva, intesa come vero e proprio pugno in faccia, calcio agli stinchi, quella lettura che incide o quantomeno provoca lividi; quella che non puoi dimenticare e che ti risuona dentro quasi e più di un’emozione tua.
Una forza dunque, quasi coraggio pienamente percepibile in questo incipit memorabile:
Potrei prenderti così, come ti ho trovato,
sporco di pallonate prese in pieno petto,
lavarti e centrifugarti per bene, stendendoti
al sole (sperando che splenda).

E poi:

O come  un semplice grigio zerbino peloso.
Toccarti con le suole conforta le idee, 
spillarti coi tacchi è un anticipo per i torti futuri

ove l’autrice sembra dar sfogo ad una sorta di frustrazione insita nel desiderio di avere.
Una passione sensuale e totalmente femminile, una poesia cruda e senza fronzoli che sa toccare le corde dell’anima.
Le parole s’affollano sulla carta e nella mente, i dubbi varcano ogni movenza e quello che poteva essere, il non-stato, non accaduto provoca stati d’ansia, veri e propri attacchi di panico.

così, prima di fare la guerra alla mia notte di sempre,
alla mia notte insonne
scriverò lettere a qualcuno non più in vita
senza mai spedirle,
confiderò a me stessa l’inutilità del dolore
e le finestre ad Est, chi sa perché, terrò sempre aperte.

Chi possiede il dono del pensiero ha notti insonni davanti a sé, perché chi riflette, difficilmente accetta l’esito dei giorni turbolenti; le cose fatte e non fatte plasmano quello che siamo con tutte le piccole paure, con tutte quelle rughe che ci hanno reso grandi davanti agli altri e deboli allo specchio. Perché il dolore è più un patto con noi stessi, che una condizione inflitta e lacerarsi diventa quasi routine, ma la speranza è un fiore che nasconde sempre le sue radici.
Ogni  testo ha cento storie dietro sé, tanti discorsi aperti, iniziati da un bel po’, nella mente, nel cuore, negli occhi come film già visti, architetture inventate, amori esplorati e persi, vinti. Ogni passo avanti diventa penitenza da espiare nei secoli bui della memoria.

Non mi guarderai con gli occhi di prima,
ma mi toccherai con le mani di sempre,
sistemando in ogni angolo del nostro passato
i tuoi sospiri
e i miei pentimenti.

Si può affermare che N. colloquia con i versi e la sua è una calma invidiabile e allo stesso tempo spiazzante e devastante; come una vera artista purifica la parola, la amplifica, nella sua estrema  semplicità. Si tratta di una poetica moderna che sa spogliarsi di ogni arcaismo, di ogni enfasi  che finirebbe per appesantire  un racconto dalle ambizioni piuttosto chiare: c’è chi della poesia fa un esercizio stilistico, chi scrive per gli altri, chi racchiude fra le righe una qualche lezione di vita, chi  usa la penna per sfogarsi, chi affida ad una serie di sillabe quelle emozioni, ricordi, sensazioni che altrimenti resterebbero chiuse in qualche stanza della mente.
Le reminescenze si mescolano così a giorni recentemente vissuti e le descrizioni reali e minuziose dei fatti ci riportano ogni impressione, ogni sospiro che ha trovato spazio all’uscita.
Soltanto le gocciole con il tam-tam perfido,
chiassoso come mai,
con poche parole confortanti,
l’adulatore senza tregua,
e l’usignolo scappato dalla gabbia,
non trovando  più pace
sempre pronto a commettere
iniquità con il mio cuore

perché ci sono periodi in cui la noia, lo sdegno,  la diffidenza, la delusione, l’indecisione si fanno massi  insormontabili e “piovere di rabbia guardando il calendario” diventa atto dovuto ad una esistenza che ha fin “troppi giorni in un mese” e “le assenze cresciute come grattacieli” sono palafitte contro la pioggia.
La rassegnazione è un po’ il leit motiv che sembra attraversare questi testi e l’autrice in una ironia quasi triste ammette che:
dunque,
non sapresti leggermi più di una pagina,
figuriamoci tra le righe. Figuriamoci
i sottotitoli. Figuriamoci fino alla fine.
Non potresti mai essere una disgrazia o
Una coincidenza. Soltanto un innocuo tormento.
Come sempre.

Come legittima sopportazione ad un fastidio che non può altro che sussistere.

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