su "Confidenze confidenziali"




Non amo molto la forma del poemetto, ma quando iniziai a scriverlo non riuscivo più a fermarmi: i capitoli uscivano da soli, chiari e indiscutibili, con tutti i ‘ma’ e con tutti i ‘se’; sì perché la questione dell’infanzia rovinata mi torturava da tempo. Già nel passato avevo scritto alcuni racconti sull’infanzia, mia e dei miei simili, le ragazze sovietiche con un’educazione comunista, con tutte le problematiche che portano i divorzi, l’alcool, i ‘padri veri’, i ‘secondi padri’, le madri con il sovraccarico di quotidianità che spinge a far diventare le figlie adulte presto, troppo presto… come fossero bisognose di scaricare una parte della loro vita sulle spalle della loro prole. Alcune riescono a farcela, altre – per il resto della vita – combattono il passato, entrando in un tunnel senza uscita: non riescono ad amare, non riescono a formarsi una famiglia, hanno paura di avere  figli, e, magari, hanno (semplicemente) paura  di vivere. 
Questo disagio si sente forte e chiaro dalla prima riga fino all’ultima, alternandosi con i racconti vivi, con le poesie che suonano come una specie di resoconto o con il pensiero profano e crudo che non vorrei mai dire, eppure lo dico… 
E proprio per questo il poemetto si chiama “Confidenze confidenziali”. 

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