Confidenze
confidenziali
Natalia
Bondarenko – Rayuela Edizioni
Natalia
Bondarenko dà alle stampe, a un anno circa di distanza dall’edito con Samuele
Editore (Terra altrui, Samuele Editore, 2012), un piccolo quanto
piacevole e ben curato libriccino dal titolo Confidenze confidenziali (Rayuela
Edizioni, 2013). Confermando la sua predilezione per i giochi lessicali (un suo
precedente si intitolava Profanerie private) la poetessa tenta la strada
del poemetto tra romanzo e poesia, come giustamente afferma l’introduzione
critica in bandella. In realtà la definizione di poemetto appare immediatamente
inappropriata e allo stesso tempo azzeccatissima. Perché il libretto
dell’autrice ucraina che da anni scrive in italiano (nota al pubblico nostrano
per diverse partecipazioni quali la Festa di poesia di Pordenone, Pordenonelegge,
il premio Baghetta) lo si potrebbe cominciare da una qualunque pagina a
caso e la lettura risulterebbe comunque subito chiara. Come risulterebbe
chiarissimo il suo essere sparpagliato, proprio come la vita che viene
raccontata.
Confidenze
confidenziali
è in effetti un poemetto per frammenti (verrebbe quasi da ricordare l’ormai
antichissimo Myricae) che non ha unità, o per meglio dire ha la sua
unità nel suo essere disunito. Versi come A te, che sei così perfetto, / che
sei così indifferente, posso confidare / di come sono nata male… che aprono
in incipit l’opera comunicano subito questo senso di alienazione, di estraneità
basata su una contraddizione intima (che sei così perfetto, / che sei così
indifferente) che rendono l’autrice frammentata a se stessa. Non è
difficile capire fin dai primi testi, non a caso dedicati alla propria
infanzia, che tale contraddizione affonda le sue radici e ragioni nel passato (di
come sono nata male). Un padre alcolizzato, un amico del padre che tenta di
tirarmi giù le mutandine / appena mio padre sveniva sul divano, una madre
che dimmi ancora una volta che se non fossi nata io / tu potresti essere più
felice, potresti essere più di quello / che ti ho tolto. In tutto questo
inevitabilmente l’amore diventa idealizzazione e di conseguenza delusione (Avessi
i piedi – andrei a cercarlo, / [l'amore... intendo] / anche sui carboni ardenti
della griglia pronta / che più degli altri mi capisce).
L’amore poi
altrettanto inevitabilmente diventa sesso con tutte le sue sfumature di
squallore navigate ma mai completamente accettate, anzi derise (mi hai
alzato la gonna. / Avevi fretta e temevi per i tuoi pantaloni / color uccello
depennato. / Dicevi che era “la prima volta”… e si è inclinato, / il palo, dal
peso della bugia). Un amore che è evidentemente complicato sul nascere, che
è un entrare nella vita di qualcuno (Sono capace di entrare in
diversi modi, / anche dando un calcio in avanti con un piede o, / quasi
chiedendo il permesso, educatamente, / in punta di piedi) senza mai volerne
veramente uscire (Poi, / per uscire / [perché a volte bisognava uscire in
tempo] / perdevo la strada). Questo perché uscire dalla vita di qualcuno è
tanto necessario quanto scomodo (Perché uscire subito significava rimanere
fuori. / E rimanere fuori la trovavo / una cosa poco accogliente). Si torna
a se stessi, alla propria vita, alla propria anima.
Confidenze
confidenziali
è il racconto di una solitudine complessa che si satura nel tempo. Che oppone a
una privata ma mai palesemente dichiarata disperazione (ho chiesto tramite
Goethe / al suo amico prediletto, Mefistofele, / cosa pensa di me compresa la
mia anima, […] ci siamo messi d’accordo sul prezzo / [non sapevo che i
saldi / fossero iniziati da un pezzo]) un desiderio fortissimo di ribaltare
questa dinamica dell’isolamento, dell’estraneità a tutto (Volevo essere
anch’io tutta sua / con un anello sulla zampa / pieno di dediche per sempre).
Un cortocircuito in effetti destinato al fallimento (Se forse questo caldo
africano / andasse a braccetto con la pioggia / sarebbero / la coppia più
perfetta del mondo / mi pongo, però, la domanda lecita / se il gelo
dell’inverno, per uno di loro / non sia l’amante inevitabile). La figura
maschile diventa parte integrante di questo cortocircuito tanto da apparire un
soggetto ricoperto di grandi aspettative ma dal quale si sa verranno grandi
delusioni (e tu, / che dividi il letto con me, / sei ancora più sconosciuto
del mio vicino). Sempre in bilico tra l’essere subordinato e l’essere
subordinante.
Una solitudine,
un’incompletezza, alla quale arrendersi sempre di più (Fino a farmi venire
il mal di pancia. / Fino alla rabbia / di aver scordato l’alfabeto del volersi
bene) fino a un finale non finale nel quale la resa a una vita che appariva
dura fin da bambina (ero così fortunata che ho passato metà dell’infanzia /
in ospedale) si veste d’ironia per non morire, per non ricadere nel
desiderio altrove navigato di finire (Dovrei abituarmi a considerarmi una
clandestina, / una profuga, / se vuoi – una disertora, / un vecchio abito da
sera mai usato). Lasciando sempre una metaforica finestra aperta al ritorno
a casa, all’est (confiderò a me stessa l’inutilità del dolore / e le
finestre ad est, / [chissà perché] / terrò sempre aperte).
Natalia
Bondarenko con questo libro non si dimostra solo poetessa, ma anche voce
squisita (a tratti perfetta) di tutta una generazione di donne ucraine emigrate
e venute in Italia alla ricerca di una vita migliore. Donne sognatrici che però
hanno portato in seno una disillusione e una difficoltà che si sono
culturalmente trasformate in aggressione non tanto nei confronti degli altri,
quanto di se stesse nella paura/certezza di non avere mai l’amore, la felicità.
Donne che non concedermi la tregua consumando il divano, / fammi venire le
zampe di gallina sotto gli occhi / mentre rido. / Ho molte cose da darti in
cambio. Ma che allo stesso tempo Ho un guardaroba / che mi veste come
una bambola, / copre la fregatura del seno, / lasciando l’anima scalza e
spoglia / a qualcuno / che si intende solo di moda.
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