Intervista a Natalia (Natasha) Bondarenko, a cura di Paolo Polvani.

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Natasha, che reazione suscita in te la parola “migrazione”?
Sono nata in un paese dove la parola “migrazione” si usava a gocce: quando qualcuno attraversava la frontiera per scappare, non si chiedeva molto, si sparava. Si risolveva così la questione dell’emigrazione clandestina. Poi, quando negli anni ’80 la gente ha iniziato a fuggire in America, l’opinione era unilaterale: loro erano i traditori della patria. Sono cresciuta con principi comunisti ai quali, strada facendo, ho dovuto “mettere la museruola”.  Ho dovuto fare un percorso tutto mio: rivedere i motivi che spingono una persona a cambiare paese (il mio è stato molto doloroso, per via di un matrimonio con un italiano e la rinuncia di molti privilegi ed affetti).  Nel frattempo sono succedute alcune guerre e divisioni che hanno fatto collassare i sistemi di accoglienza, dei quali potrei dire di tutto ad alta voce, perché li ritengo inutili e disumani, e, per di più, stracari e, ogni volta, quando si sente parlare di un emigrante è solo in occasione di qualche delitto commesso o per sottolineare una grande differenza fra le mentalità e le culture.  Pretendere dagli stranieri di apprendere la cultura locale, o il dialetto, o di diventare cattolici e come chiedere ad una gallina di fare le uova d’oro: queste cose succedono soltanto nelle favole. In realtà, ogni cosa ha la sua funzione. Per secoli dei secoli lo straniero suscitava l’interesse o l’odio; la storia si ripete, ma con delle nuove sfumature, dimenticando completamente una parola così importante come “libertà”… che comprende anche quella libertà individuale – è più preziosa dei beni che possiamo possedere.
   
Possedere più lingue significa possedere più mondi?
Possedere più lingue significa avere molte possibilità di essere compresi, essere compresi significa essere accettati, essere accettati significa essere liberi e così posso andare avanti all’infinito. Poi, per uno scrittore è un vantaggio enorme. Se anche devo dire, che non sono proprio un esempio in questo senso: mi manca moltissimo la conoscenza dell’inglese che trovo una lingua internazionale, perciò, invidio moltissimo chi la parla. Per il resto sono abbastanza imbranata e fino ad oggi non riesco a spiegare come sono riuscita a scrivere in così poco tempo e in italiano tutti i miei libri.  Se qualcuno mi avesse detto tempo fa che questo sarebbe successo, gli avrei riso in faccia. Ma è successo. Perché, un giorno mi sono svegliata “male”; sono uscita su una stradina dietro casa mia per portare fuori il mio cane. Mi veniva da piangere: mi mancava il sole e pioveva da giorni, stavo stretta sotto l’ombrello, invece, il mondo era troppo largo per i miei gusti.  In quell’istante è nata la mia prima poesia – una semplice frase e senza rima. Questo fatto mi dava molto sui nervi perché la poesia russa è molto legata ai canoni rimali. Ma qualcuno ha notato la bellezza di quella poesia ed io presi coraggio: scrissi la seconda, poi la terza, e così via.  Ho preso il volo. Se anche devo essere sincera: in alcuni passaggi penso ancora in russo. Mi aiuta a rafforzare la sostanza del pensiero, mi diverte e stimola questo bi-pensierismo.


In che rapporto vivono i tuoi mondi?
È un rapporto strano: in una specie di “usa-getta”, ma solo quando serve. Per anni ho rifiutato il mio vecchio mondo, ho fatto un sforzo enorme per apprendere le finezze e i modi di dire italiani e il risultato di questo sforzo non è proprio quello che  mi aspettavo. Il mio russo di oggi è talmente scarso che per tradurre le mie cose devo rivolgermi ai traduttori professionisti. Invece mi trovo in mio agio a tradurre dal russo all’italiano e dall’ucraino all’italiano. Ma, come dicevo prima, la mia conoscenza della letteratura russa e di alcuni modi di dire russi mi aiutano in tal senso a elaborare i miei testi come voglio io, usando a volte un linguaggio di strada, quello, parlato. Parlo peggio di come scrivo e ogni volta che inizio le  mie presentazioni, mi scuso col pubblico:
“Gli articoli, li trovo inutili”.
Ecco dove s’incrociano i due mondi: uno pieno di articoli ed un altro che non lì conosce per niente. (Scherzo!!!)
   
La poesia può svolgere una funzione nel tentativo di avvicinare mondi diversi?
Non lo so. Magari – sì. Per i motivi più banali che pensiamo: la poesia non solo un pensiero, non solo un sfogo, ma anche un racconto o una storia scritta con poche righe. Arriva subito. È velocissima. Viene assorbita all’istante e per questo ha maggiore forza della narrativa che ha bisogna di tempo. È importante (e qua non voglio fare la bacchettona) pensare bene cosa scriviamo e cosa vogliamo che gli altri capiscono; è importante dare un messaggio, qualsiasi messaggio,  purché questo messaggio non sia vuoto o abbellito da un mucchi di frasi, i cosiddetti fronzoli, che molto spesso si trovano ancora nella poesia contemporanea.  La mancanza di un’idea rovina la poesia, la mette allo stesso livello delle filastrocche o le parodie sulla poesia che ultimamente si sentono anche sui canali televisivi. E questo fatto sminuisce completamente il ruolo del poeta. In questo caso divento intollerante, divento “una russa” che difende a spada tratta tutti i valori della poesia che qua, in Italia, da un po’ di tempo è trattata da orfana e affidata ai servizi sociali.
Non so se mi riesce, a sono cocciuta in questo senso. Continuo parlare di poesia come di una figlia legittima, come blogger cerco di diffondere le più belle parole dei migliori poeti contemporanei italiani e ogni tanto, per non perdermi in questo mondo che a volte continua ad essere ostile verso di me, organizzo le serate dedicati alla poesia contemporanea russa. Sì.. per non perdermi… per non svanire del tutto.

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