Sebastiano A. Patanè-Ferro su Natalia Bondarenko

Se è vero che la poesia è vita, allora questo è uno dei modi più opportuni per descriverla, senza addobbi e fronzoli, cruda, ruvida, se vogliamo, ma  reale. Così, come la scrive Natalia Bondarenko, senza vernice, con le parole del giorno, le stesse parole di sempre ma incrociate secondo la costruzione di una personale poetica.

Già mi affascinava Lee Master nello Spoon  river, per quel suo raccontare  asciutto, piano, quasi narrativo senza, tuttavia, abbattere la poetica. E mi affascina Sanguineti che trova un oggetto che non correla in quanto non  metaforico,  bensì reale, e quindi che riporta a se stesso. Oggi, la scrittura della Bondarenko,  mi appare come il risultato dello smantellamento totale della sintesi retorica, della scrittura enfatica, divenendo elevazione della parola pura, della parola proveniente da una osservazione del reale catalizzato dalla espressione poetica. La forza che ne viene fuori è devastante e riempitiva: disarma totalmente la vita "lirica" e riempie vuoti trattenuti  dalla appartenenza a schemi determinati e determinativi.  La sua scrittura la colloca in una posizione di sperimentalista post moderna, lontana dai futurismi majakovskijani  e più vicina, forse,  alla poetica di Evtusenko o della Szymborska,  ma  il suo riferimento principale rimane Sanguineti  che aggirando  le teorie eliottiane inserisce  un “parlato” più ampio alla scrittura, a volte più della scrittura stessa. 

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