2° Classificata – Premio Speciale Consulta Femminile Regionale del Piemonte

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Vorrei leggere ancora Dostoevskij 

  Racconto di Natalia Bondarenko (Ucraina) 

 Sono stata nessuno in questa guerra. Probabilmente, soltanto un sussurro flebile. Cosa ho fatto? Non ho baciato lo stendardo, non ho raccolto i resti della mia vita in uno zaino, non ho marciato con gli ‘sbagliati’, ma mi sento una superstite. Facile pronunciare la parola “guerra” se non l’hai mai vista. Fingo di stare al gioco che non porta da nessuna parte. 
Non sono più capace di produrre un pensiero utile che ti faccia sospendere il respiro, sono assurda e prevedibile come il cigolio del letto che mi ospita per l’ennesima volta, come quel cartello in età avanzata, visto anni fa nella metropolitana di Kiev che in tutto il suo paradosso dice che è vietato stare sul treno che va verso il binario morto. Vorrei continuare a ragionare senza invecchiare, vorrei fermare quella cosa che si chiama “tempo” e di quello mi è rimasto soltanto l’imbarazzo che provo nel non saper scrivere il dolore di una guerra, perché, probabilmente, non mi sta bene messa addosso, ma non sta bene a nessuno, penso. Fra orgoglio e vergogna stare è un dilemma corrosivo, poco appetibile. Io che amo il filo logico e non per niente casuale non saprei proprio come fare. 
È per questo che nascondo le mie parole impronunciabili sulla punta della lingua, in fondo alla gola, fra cuore e stomaco per sentirmi quasi inadeguata e gracile in queste circostanze, in questo mondo che dovrebbe essere adeguato e florido, adeguato come una panchina in un giardino pieno di cose adeguate e magari floride, dove noi due, inadeguate (io con i capelli biondi ed occhi azzurri e tu con gli occhi verdi e capelli neri), noi due amiche da sempre possiamo ‘inadeguarci’ sul vecchio legno umido e scrostato per stare insieme quel poco che il tempo ci permette. 
 “Cajkovskij, Tolstoj e Achmatova sono entrati in guerra a loro insaputa” sento la voce rassegnata, “non so se potrò leggere ancora Dostoevskij”. 
 Mi giro e vedo gli occhi pieni di morte della mia amica inadeguata. 
 La filosofia della guerra corrode il futuro. La guerra annuncia altra guerra a quelli che sono già in guerra per conto loro. 
 “Sta impazzendo, il mondo” dico cercando di distrarla “L’altro giorno una donna… una di quelle che sono arrivate da Leopoli col pullman mi ha sentito parlare al telefono in russo e mi ha gridato in faccia che sono merda russa”. 
“Perché? Mica sei russa?” 
“Appunto.” 

 Non mi sento una vittima, mi sento inadeguata. E provo vergogna. Mi sa proprio che la vergogna sta a spasso con l’alfabeto russo, gli occhi azzurri e capelli biondi. Non c’è niente da fare. Così non mi rimane altro che immaginarmi con i capelli neri e gli occhi verdi perché da quando qualcuno con i capelli biondi e gli occhi azzurri uccide qualcun altro con i capelli biondi e gli occhi azzurri, io sono persa… Certo che nel frattempo i miei capelli sono diventati bianchi, come sono bianchi i capelli di quelli che hanno vissuto abbastanza per vedere come qualcuno con i capelli biondi e gli occhi azzurri sta uccidendo qualcun altro con gli stessi occhi e gli stessi capelli… 
È qui che inizio a vergognami per come vi appaio, cercando di spegnermi, tingermi di diverso, 'astuto', qualcosa di lontano non trovando più la vena giusta per farmi l’ultima iniezione d’amore. Ma le notizie non mi danno tregua, solite, poco di buono, ripetitive, sempre gli stessi ragazzi con i capelli biondi e gli occhi azzurri continuano ad uccidere altri ragazzi con capelli biondi e gli occhi azzurri ed io non so più che razza di buon augurio devo tatuarmi addosso. Continuo a ‘starnazzare’ su cose mai viste e sentire i discorsi sterili che non cambiano fisionomia. 

Ma stanotte ho sognato un missile che entrava nella camera da letto di mia madre, ho sognato la voce che gridava di non uccidere e sono morta nel sonno di paura. 

 E ora sono proprio morta. Intanto tu, amica mia, con i capelli neri e gli occhi verdi, ancora viva e perplessa, cercavi di salvare il salvabile – i tuoi figli, salivi su un treno affollato di gente perplessa o su un autobus con la scritta “Bambini” e se non riuscivi a prenderli, camminavi a piedi su strada piena di vergogna. Le gambe non sapevano dove andare, per non crepare. Si pensava che d’estate sarebbe finito tutto. Ma quando è arrivata – non è cambiato nulla. E così, tu continui a marciare verso altre ‘ombre’ nella notte, suonando una corda soltanto e sputando l’amarezza e, nel tempo quasi sempre libero, insegnando ai tuoi figli il nuovo alfabeto, i nomi delle piante bruciate dalle bombe e la nuova geopolitica mondiale immaginaria. Ogni tanto ti capita qualche giornale della settimana prima dove cerchi le notizie sui vivi e trovi soltanto dispersi e mai trovati, la gente anziana con i gatti da salvare, foto di bambini persi con cognomi dei genitori ‘tatuati’ sulla pelle. Hai paura nauseabonda e pensi alla felicità di qualcuno andato già altrove, da qualche parte in Polonia, meglio in qualche paese dove potresti riuscire a leggere ancora “Guerra e pace”. Sempre meglio che rimanere per non vivere. 
Pensi a quella gente fortunata di non vedere queste case distrutte da non si sa cosa e dove comanda l’unico gatto rimasto, con la coda mozzata, che gira nelle rovine e urla di fame. E tu che hai cuore ancora, cerchi di fare una buona azione e non avendo più cibo cerchi di darli almeno una carezza prendendolo in braccio e non vedi un cecchino che si nasconde nella tana di un ratto, mira nella tua premura e ti spara… 

 Hai visto? Ora sei morta come me.

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